L'Organizzazione mondiale della sanità ha definito la depressione la malattia del secolo, poiché si stima colpisca 15 persone su 100. Sebbene non esista ancora una letteratura solida e condivisa su questa subdola malattia, per spiegarla si tende a ricorrere ai modelli bio - psico - sociali, che definiscono le cause su più piani: un piano biologico, per il quale ci sono persone che hanno una maggiore predisposizione genetica; un livello psicologico, per cui si prendono in considerazione tutta una serie di eventi / esperienze soprattutto legate all'infanzia che possono predisporre ad una maggiore vulnerabilità alla malattia.
Bisogna fare attenzione al concetto di vulnerabilità, poiché non significa sviluppo certo e conclamato della malattia, ma possibilità maggiori che si sviluppi in soggetti che hanno vissuto certe esperienze più "traumatiche" rispetto a chi non le ha vissute.
In ogni caso, diversi studi hanno dimostrato che non è tanto l'esperienza traumatica che devasta la vita del soggetto, ma la percezione personale del trauma e il significato che gli viene attribuito, diverso da persona a persona.
Ci sono anche individui, definiti resilienti, che riescono a far fronte in modo positivo, creativo e sensibile agli eventi traumatici e a non sviluppare tutta una serie di patologie sul piano psichico, anche se sarebbero più predisposti.
In qualità di professionista della salute mentale, credo sia di basilare importanza non nascondersi dietro a muri omertosi tipici di una cultura che fatica a trattare le malattie psichiche alla stregua di una qualsiasi malattia che colpisca il fisico.
Come ogni malattia che si rispetti, anche la depressione si manifesta con segnali, vere e proprie spie, avvisaglie che se vengono trascurate si trasformano in sintomi, invalidanti per la persona che ne soffre.
Come per ogni malattia prima s'interviene, migliore sarà la prognosi.
I diversi piani su cui intervenire sono:
1) la prevenzione, che significa parlarne, aiutare le persone a riconoscerla e soprattutto combattere lo stigma legato a questa come ad altre malattie mentali;
2) intervenire e curare: in quanto psicoterapeuta ritengo utile l'approccio integrato di terapia psicologica e farmacologica, poiché il farmaco allevia il sintomo ma da solo non impedisce possibili e rovinose cadute future; mentre la psicoterapia agisce sulla prognosi e su un decorso più stabile e duraturo nel tempo, poiché aiuta il soggetto ad affrontare ed elaborare contenuti mai digeriti, in virtù di un cambiamento intrapsichico e interpersonale.
Per noi terapeuti il sintomo ha una "funzione", cioè serve al soggetto per mantenere uno status quo dato dalla paura di affrontare qualcosa che non va nella propria vita e che necessita di un cambiamento (un lavoro non soddisfacente? La fine di una relazione?). La "funzione" può agire anche sul contesto familiare: il sintomo attira e sposta l'attenzione da altri e reali problemi che coinvolgono la famiglia. Per esempio, un figlio con la sua depressione fa sì che i genitori tralascino i loro problemi di coppia per occuparsi di lui.
Nella psicoterapia, il professionista aiuta nel processo di consapevolezza a dare significato al sintomo per poi affrontare le paure e predisporre al cambiamento. Alla base di ogni percorso psicoterapico, fondamentale è sostenere il paziente nell'ascolto dei propri bisogni per vivere appieno la propria vita, onde evitare uno spreco inutile di energie ed indirizzarle verso la propria strada di realizzazione, crescita e serenità.