Per dipendenza s'intende un'alterazione del comportamento che da semplice o comune abitudine diventa ricerca esagerata o patologica del piacere attraverso mezzi o sostanze o comportamenti che sfociano nella condizione patologica.
La dipendenza può diventare fisica, con alterato stato biologico e psichica, con alterato stato psichico e comportamentale.
Le dipendenze sono in genere "da" qualcosa: cibo, sostanze stupefacenti o psicoattive, quali caffè, alcol e tabacco, sesso, lavoro, gioco, shopping, internet, televisione, ecc.
Inoltre, si può anche dipendere affettivamente da un'altra o più persone: la dipendenza affettiva.
Ciò che contraddistingue il dipendente è la presenza costante di un pensiero intrusivo, ossessivo, che lo porta alla ricerca impulsiva e compulsiva del qualcosa da cui non può stare lontano, pena la crisi di astinenza, spesso associata ad ansia, irritabilità, fino a vere e proprie sintomatologie fisiche.
Il problema nasce spesso perché ciò che apparentemente fa stare bene in realtà è molto dannoso per la salute psichica e fisica.
Infatti, ogni dipendenza è tossica, poiché viene usata per calmare uno stato interiore e/o colmare un vuoto. Ciò che viene usato per giungere a questo scopo lo si vede come qualcosa di magico che dà sollievo e benessere, anche se momentaneo ed effimero.
In realtà il danno che se ne ricava supera di gran lunga il beneficio dato dal riempimento del vuoto che genera un istantaneo sollievo. Il mondo del dipendente tossico è invaso dal pensiero e dalla ricerca dell'oggetto di dipendenza che gli riempie i vuoti e non lo costringe a stare sulle cause della vera angoscia, stato penoso, talmente insopportabile da anestetizzare il prima possibile. La società in cui viviamo è complice nel non lasciare spazio per la noia, il vuoto: tutto deve essere colmato e riempito subito, trascurando la dimensione del sentire. Per cui persone già poco abituate a stare sulle proprie emozioni, colludono facilmente nel cercare qualcosa che li calmi quando i sentimenti sono angosciosi. Tutto funziona finchè appunto non subentrano i danni fisici, psichici e comportamentali della dipendenza.
In quanto psicoterapeuta credo sia basilare partire in un percorso di cura dall'aiutare il paziente a stare nei vuoti, ascoltarli e tollerare anche le emozioni "negative", sia come "palestra" di vita sia per trovare soluzioni e strategie sane per calmarsi. Questi pazienti spesso non hanno appreso nella primissima infanzia gli strumenti per auto consolarsi in assenza di un caregiver. Quando si parla di assenza di un caregiver (= colei o colui che fornisce cura) s'intende sia per motivi legati a eventi traumatici, per cui l'abbandono può essere legato per esempio ad un lutto, sia a volte, negli abbandoni dissimulati, il caregiver è fisicamente presente, ma non si rende disponibile affettivamente al bambino.
L'infante ha bisogno di entrare in simbiosi / dipendere da un caregiver che lo accoglie per poi pian piano separarsi e diventare sempre più soggetto autonomo, fondando le basi della propria identità. Spesso questo processo fallisce e il bambino rimane "aggrovigliato" nelle trame familiari.
In questi casi, si vedono adulti che faticano ad avere un pensiero e un'opinione propria, così come un'emozione che appartenga solo a loro. È probabile che sia fallito anche successivamente lo svincolo dalla famiglia d'origine nella fase adolescenziale. Per cui, ritengo utile, associato al lavoro individuale con il paziente sullo stare sulle proprie emozioni, imparando anche a gestirle, un lavoro combinato con le famiglie dei dipendenti per aiutarle finalmente a "separarsi", affinché il paziente possa intravedere la possibilità di mettersi al centro e di andare incontro ad un futuro più autonomo.